La presentazione di Rosso, nero e Pasolini vista da Eliana Villalta

25 ottobre2015, ore 11.00 Udine Libreria Ubik
Presentazione del volume di Enrico Petris, Rosso, nero e Pasolini, Mimesis 2015
Intervengono Damiano Cantone, Pier Luigi D’Eredità, Enrico Petris

rnp (180x270)Nonostante il nome del luogo dell’incontro evochi la più gustosa letteratura visionaria di Philip Dick, l’argomento del libro di Enrico Petris ci richiama a una realtà storica minuziosamente ricostruita, ma non per questo meno inquietante. Damiano Cantone, nell’introdurre i risultati di questa vasta ricerca – che approda a una ricostruzione riccamente documentata e non sentimentale degli anni di piombo, intrecciata all’oscurità in cui è rimasta la verità sulla morte di Pasolini – non manca di ricordare al pubblico che affollava la libreria questa semplice ma necessaria verità: la storia del terrorismo è stata ed è oggetto di una potente rimozione, non solo nella sfera pubblica, ma nei vissuti privati degli italiani. Cantone ha, successivamente, messo in luce una qualità non secondaria del libro di Enrico Petris, l’equanimità di uno studioso che si è dedicato a un periodo drammatico della nostra storia recente mosso da una profonda consapevolezza etica e politica, come ha precisato anche Pier Luigi D’Eredità. Introducendo il volume, quest’ultimo aveva già rilevato la qualità complessiva del lavoro compiuto in Rosso, nero e Pasolini declinandola in una metaforica della luce che ci pare ancora più preziosa e difficile in rapporto all’argomento. Si tratta di una ricostruzione degli eventi del terrorismo nero e rosso che non inclina al giudizio ideologico, ma che va alla ricerca di una comprensione profonda del fenomeno, nel quadro di una oramai difficile e compromessa democrazia. Il ruolo delle agenzie di intelligence, nazionali e internazionali, viene opportunamente evidenziato sia per l’eversione terroristica di destra che – pur nelle differenze – per quella di sinistra, e forse, alla fine, la fa da padrone sugli eventi sanguinosi e sui protagonisti. I servizi segreti compaiono ovunque, nelle testimonianze, nelle sentenze, nelle vicende poliziesche e giudiziarie, come registi e, a volte in singolari ruoli attoriali. Tuttavia la regia complessiva, sebbene chiaramente individuata, rimane occulta alla giustizia e significativamente impunita. Il risultato della ricerca oltrepassa la categoria oramai storiograficamente impostasi di una “strategia della tensione”; sebbene non la contraddica, sembra addentrarsi in trame più profonde. Pier Luigi d’Eredità ricorda che, sebbene i fatti siano facilmente ricostruibili attraverso le sentenze, l’opacità sopraggiunge ad altri livelli e permane come monito rispetto alla successiva vita del Paese. Io so i nomi, scriveva Pasolini alla vigilia del suo assassinio, consapevole dell’impossibilità di provare la sua precoce comprensione del fenomeno terroristico. Il libro si apre proprio sull’articolo che forse è costato la vita all’intellettuale più scomodo della scena italiana degli anni Settanta, ma la terza parte del libro sviluppa attraverso una lettura politica del suo romanzo postumo Petrolio, la spy story che stava decifrando, come scrive lo stesso Petris e come si evidenzia man mano nella lettura. La drammatica fine di Pasolini sarebbe allora da ricondurre alla sua consapevolezza, pubblicamente e ripetutamente espressa anche in altri articoli, come alla stesura dello scomodissimo romanzo.
Nel corso della presentazione e del dibattito, Enrico Petris evidenzia un aspetto non marginale del suo lavoro, effettivamente chiaro al lettore perché discendente dalla necessità impressa nel suo libro: il ruolo del Friuli in questa triplice e drammatica storia del terrorismo nero e rosso e della scomparsa del poeta cantore di una certa friulanità, ma anche della mutazione antropologica che denuncia per l’intera società italiana, iniziata in quegli anni. Quasi che il mosaico che pazientemente e coraggiosamente l’autore ricompone – per usare le parole di Cantone – facesse vedere che da qui partono le prime avvisaglie del fenomeno terroristico nero, che qui continuano ad avere un ruolo molto a lungo e che le qualità di veggente di Pasolini non siano disgiunte dalla sua esperienza friulana.
Un altro merito del lavoro di Petris va individuato nella coniugazione del proprio metodo di ricerca con quello indicato da Pasolini, non in veste di storico tuttavia, bensì in quella inedita di filosofo, attento lettore, se non interlocutore diretto, di alcune delle più importanti imprese critiche del XX secolo, come la Scuola di Francoforte e il cantiere foucaultiano allora ancora aperto.
Infine, su sollecitazione degli interlocutori e del pubblico, Petris ha affrontato il problema delle mutazioni delle pratiche terroristiche dopo gli anni Novanta, ricordando ancora una volta implicitamente che il lavoro dello storico è anche oggi, in ogni modo, al servizio della lettura del passato come dell’interpretazione del presente, seppur mutato.

Eliana Villalta

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