Sul seminario di Sergia Adamo

di Federica Bortoluzzi, studentessa della 5A del Liceo Copernico di Udine

gradoNon si nasce donna, lo si diventa. Il corso seminariale di Sergia Adamo Che cos’è il genere? Rappresentazioni, teorie, tradizioni di pensiero si è aperto con questa celebre citazione. Lo slogan di Simone de Beauvoir é stato il punto di partenza, e per certi versi anche quello d’ arrivo, di un percorso filosofico attraverso quattro paradigmi, che la docente ha illustrato per disegnare una mappa concettuale non cronologica sulle questioni di genere.

ssgrado-1turnoLa sua ricostruzione ha mostrato come il pensiero e la cultura rivelino la loro più propria ragion d’essere diventando fondamento della nostra identità, giungendo a plasmare la stessa dimensione del genere, discostandosi quindi dal mero gioco di erudizione o di potere. É proprio nella maggiore opera della pensatrice francese, Il secondo sesso (1949), che si riconosce la sorgente del primo paradigma. A partire dal dato sociologico di un’evidente dissimmetria fra i due sessi, l’analisi di de Beauvoir sfocia in un appello alla ragione universale che per definizione non ha sesso e, quando ha corpo, non é mai il corpo in cui si incarna.
La connotazione della soggettività declinata al maschile, maggiore espressione del rapporto gerarchico fra i due sessi, va abbandonata mediante un processo emancipativo volto al mitsein, termine heideggeriano volutamente provocatorio, che allude ad una condizione di esistenza condivisa, di parità tra uomo e donna.
Dalla critica alle premesse di questo primo paradigma della parità ha origine un secondo paradigma, che si colloca al polo opposto rispetto al primo. Si tratta del paradigma della differenza. La sostanziale differenza tra i due sessi non è da considerarsi come un disvalore, ma come punto di partenza per una rivendicazione della specificità della differenza sessuale. Le filosofe della tradizione francese (Cixous, Irigaray, Kristeva), ma anche di quella italiana (Lonzi, Muraro, Cavarero) appartenenti a questo filone di pensiero, che muove generalmente dalla fisiologia alla soggettività, oppongono alla tradizione “fallogocentrista” legata all’oralità e quindi alla presenza, la valorizzazione della scrittura come mediazione, che ha la sua massima espressione nella pratica di decostruzione dell’opposizione binaria maschile/femminile detta écriture feminine.
Questo tipo di approccio rischia però di essere letto semplicisticamente come una riduzione alla sfera biologica rendendo il concetto di femminilità assieme universalizzante ed essenzializzante, oltre ad accostare pericolosamente la figura della donna a quella del solo corpo, alimentando un’associazione tipica del senso comune. Per evitare l’identificazione con un modello univoco vanno esplicitate una serie di relazioni dinamiche che determinano, non un’unica differenza fra uomo e donna, bensì molte differenze. Eccoci dunque al terzo paradigma, quello delle differenze, al plurale. L’articolazione del terzo paradigma verte infatti sull’idea del divenire che va a delineare il genere come la continua negoziazione fra le norme sociali imprescindibili e il riconoscimento di sé. Il genere è quindi contestualizzato, ha carattere intersezionale, non deterministico e può, punto questo di centrale importanza, non coincidere col sesso naturale. Se per Freud non aderire ad un modello maschile o femminile imposto era considerata una perversione, oggi possiamo dichiarare che il solo affermare un genere è un atto culturale-linguistico.
Con il quarto ed ultimo paradigma dell’indagine ci imbattiamo infatti nel concetto di desiderio. Immerso nella dimensione della temporalità il desiderio rappresenta la continuità fra maschile e femminile. La forte caratterizzazione oppositiva eterosessuale binaria viene nel contempo denunciata alla stregua di una violenza. Judith Butler teorizza così  il carattere performativo del genere che, da atto linguistico descrittivo (She’s a girl) si riproduce costantemente mentre viene messo in atto. Questa forma di iterazione, di performatività che afferma se stessa, assume la forza di normatività, o per meglio dire eteronormatività. Le differenze e non più la differenza fra i sessi si intersecano al desiderio acquistando il ruolo di fattori strutturali nell’organizzazione della vita sociale. Non siamo solo il genere corrispondente al sesso o quello a cui vorremmo appartenere, ma una serie di molti altri elementi che allo stesso tempo ci influenzano e ci chiamano quotidianamente alla creazione. Ecco che non siamo donne o uomini, lo diventiamo.

Federica Bortoluzzi  5A Liceo Copernico, Udine