Claudio Tondo apre il suo seminario, Umano e Postumano, facendo notare che stiamo attraversando un periodo di transizione da un modo storico o tradizionale di essere umani ad un modo di essere che si può definire postumano. Oggi viviamo ad un bivio tra vecchio e nuovo modo di concepire l’umanità. È necessario pertanto presentare una ipotesi di futuro. Stiamo vivendo una fase iniziale di un’era di sviluppo di nuove potenzialità. Allo stesso modo bisogna mettere in discussione alcune categorie della tradizione filosofica. Ibridazione è il concetto che meglio descrive la nostra situazione. Per lungo tempo abbiamo cercato di stabilire confini tra umano, animale e macchina, ora è diventato più urgente sottolineare gli elementi di connessione. Dobbiamo applicare alla tecnologia le stesse relazioni che abbiamo tenuto con il mondo animale, per lo meno quello addomesticato. Il nuovo rapporto con la tecnologia ci mette al cospetto di un nuovo modo di concepire la natura umana, ci permette di ripensare sia il corpo sia la mente. Le capacità attuali della tecnologia di intervenire sui corpi e sulle menti sono decisamente superiori a qualsiasi epoca passata. Obiettivo di oggi è definire il nuovo modo di produrre l’umano che chiamiamo postumano. Descartes, nel Discours de la méthode, usava la metafora del pilota e della nave per spiegare la connessione tra pensiero e materia. La società attuale inaspettatamente realizza il pensiero di Descartes, separa cioè l’umano in corpo e mente. Dopo il francese un passo importante è stato fatto da Wiener, il fondatore della cibernetica, in greco “arte di pilotare una nave”, da lì poi nacque l’informatica che ha cambiato le nostre vite. Il passaggio da una sequenza ad un’altra, come nella dissolvenza incrociata, è il modo migliore per descrivere il nostro presente. Il regime precedente dell’umano contrapponeva corpo e anima. Nel regime del passato abbiamo dato forma al nostro corpo col lavoro, con lo sport, con l’estetica. All’anima abbiamo dato forma con l’emozione, la cognizione, la morale. Abbiamo dato forma al corpo attraverso l’esercizio e all’anima attraverso la cultura. La novità è data dal fatto che, accanto ad altre pratiche, oggi abbiamo altri strumenti che permettono il potenziamento, impieghiamo un insieme di saperi e pratiche che il sociologo inglese Nikolas Rose chiama “tecnologie di ottimizzazione”. Noi possiamo potenziare e modellare i nostri corpi e le nostre menti grazie alle opportunità offerte dalle tecnoscienze contemporanee. Nello sport è evidente che un atleta deve allenarsi e poi anche, per essere vincente, utilizzare pratiche connesse al doping, per ora solo farmacologico, tra poco forse per via genetica. Probabilmente le tecnologie di potenziamento ed ottimizzazione sono destinate ad occupare sempre più spazio.
A questo punto Tondo introduce una digressione sulla disfunzionalità delle pratiche estetiche, il piattello labiale di certe culture africane o gli anelli al collo per allungarlo di certe forme culturali dell’Asia, non rendono più semplice l’esistenza quotidiana, anzi la complicano. Sono elementi che sono stati sempre presenti nel passato, una variazione sono i tatuaggi e le scarificazioni, oggi il tema si rinnova con i bodybuilder che hanno un corpo da esibire. Oggi siamo di fronte ad una forma di ibridazione forte. Gli strumenti entrano dentro di noi. Ibridazione che non riguarda solo i nostri corpi ma anche le nostre menti. Il farmaco Ritalin veniva originariamente utilizzato per i bambini iperattivi, ora viene usato anche dagli studenti per potenziare la memoria e migliore le proprie prestazioni cognitive. Uno studente universitario che usa Ritalin dovrebbe essere sottoposto all’antidoping?
Il postumano ripete sia l’idea della tradizione moderna che l’umano e il vivente siano delle macchine, sia l’idea della tradizione postmoderna che l’umano e il vivente siano dei testi, primo fra tutti quello del codice genetico. Se c’è all’origine della vita un codice, possiamo leggerlo e capire la vita nelle sue strutture ultime e dopo anche riscriverlo secondo un progetto, ed è ciò che si propone di fare la bioingegneria. Le antropotecniche contemporanee agiscono per plasmare sia il nostro corpo-macchina sia il nostro corpo-testo. La figura che sta a metà strada tra reale e immaginario è il cyborg, l’organismo cibernetico. Esso è più interessante sia del mutante sia del robot per la filosofia perché rappresenta l’idea della ibridazione tra naturale e artificiale. Il concetto di cyborg viene dagli scienziati che volevano mettere assieme esseri viventi e macchine, soprattutto per viaggi spaziali, cioè per agire in ambienti ostili. Oggi siamo nella fase del monitoraggio continuo dei nostri corpi. Già oggi con un semplice iPhone possiamo monitorare i parametri vitali del nostro corpo. Se l’ostilità si insedia nel nostro corpo con la malattia, possiamo agire per esempio con i pacemaker per i disturbi cardiaci, o con impianti cocleari per recuperare l’udito in pazienti affetti da certi tipi di sordità. E se invece di usare le macchine si agisse sulla nostra configurazione vitale? Allora il nostro futuro sarebbe quello di essere più biologici, cioè più efficienti agendo sul codice genetico, cioè con le biotecnologie. Mutante, robot e cyborg sono figure con cui immaginiamo noi stessi, c’è però anche una tendenza opposta, il desiderio dell’assenza di forma, bisogna dare senso alle nostre esistenze anche facendoci guidare dalla volontà negativa di disfare umanità. Il desiderio di “disfare l’umanità” che si contrappone a quello di “fare l’umanità” segnala, come un sintomo, un’ulteriore fonte di disagio connessa al furore antropo-poietico che sembra caratterizzare il nostro presente: un problema che riguarda anche le forme del potere. La figura che incarna il nostro desiderio di perdere la forma è lo zombie. Gli zombie non sono realtà scientifiche ma potenze dell’immaginario. La nostra ossessione per la forma non può dimenticare che c’è anche il desiderio di perdere la forma proprio dello zombie. O come accade in certi casi con l’amputismo, ovvero le pratiche di amputazione volontarie. Lo zombie, come alter ego del mutante, del cyborg e del robot, potrebbe rappresentare la figura immaginaria di una possibile resistenza a un modo troppo invadente di essere postumani. (ep)