Resoconto della Tavola rotonda “Heidegger, il sintomo”

I segreti di Heidegger

Resoconto di Beatrice Bonato sulla Tavola rotonda del 22 ottobre a Casa Cavazzini

quaderni-neriCambia qualcosa nella valutazione del pensiero di Heidegger alla luce di quanto si legge negli Schwarze Hefte? Non di Heidegger come uomo, sul quale era già perfettamente possibile formarsi un giudizio, ma di Heidegger come pensatore? Andrea Zhok, docente di Antropologia filosofica all’Università di Milano, è il primo dei tre relatori a prendere la parola nella tavola rotonda che abbiamo dedicato a Heidegger, con l’intento di portare la discussione, appunto, “oltre i Quaderni neri” e oltre le affermazioni antisemite in essi leggibili, senza peraltro minimizzarne il rilievo. Ormai arricchita da decine e decine di interventi di diverso livello, la polemica si è riaccesa, in Italia, a partire dal libro di Donatella Di Cesare, Heidegger e gli Ebrei. I Quaderni neri (Bollati Boringhieri, 2014). Andrea Zhok esordisce dando alla domanda una risposta che non lascia molti dubbi. Cambia la valutazione del “secondo” Heidegger, cioè del suo discorso complessivo sul pensiero calcolante – la scienza e la tecnica – alla luce del nesso che Heidegger qui pone, nei pochi ma inequivocabili passaggi antisemiti, tra ebraismo, sradicamento e processo di declino dell’Occidente. Cadono sotto questo sommario giudizio le filosofie di tipo dimostrativo, compresa quella di Husserl. Qui si misurerebbe la distanza tra Husserl e Heidegger, poiché nel primo la critica dell’obiettivismo non è mai diventata critica della scienza. Le scienze dicono il vero, anche se hanno perso il rapporto con il senso. Il limite di Heidegger sarebbe il suo canone interpretativo, fermo a Herder, che lo porta a leggere la storia come storia di popoli-nazione, attraverso astrazioni quali la “grecità”, la “russità”, altrettanto arbitrarie del più nefasto cliché dell'”ebraismo” internazionale.
heidegger-sintomo15Partendo dalla questione della scienza Fabio Polidori, docente di all’Università di Trieste, esprime subito un certo disaccordo rispetto a un giudizio così definitivo. Fa osservare come Heidegger non metta in discussione la validità della scienza, piuttosto l’atteggiamento dell’uomo contemporaneo verso di essa. Le scienze per lui hanno una provenienza non scientifica, bensì filosofica. Tuttavia, per come sono strutturate, le scienze tendono ad allontanarsi dalla loro provenienza. Cosa vuol dire ad esempio la famigerata affermazione “La scienza non pensa”? Essa non pensa il dato di cui si occupa né il modo in cui opera rispetto al dato naturale. Il calcolo ci allontana da una meditazione sulle scienze. Heidegger dunque ci richiama a questa provenienza, all’originario, alla verità dell’essere. E nonostante non sia una parola heideggeriana, Polidori propone di parlare, in rapporto a un tale richiamo, di responsabilità. In chiusura del suo intervento Polidori legge e commenta un passo dai Concetti fondamentali della metafisica: “Dunque ci muoviamo continuamente in cerchio”. L’intelletto comune vuole andare diritto, e il cerchio fa venire le vertigini. Cavarsela senza questo circolo è l’orgoglio della filosofia scientifica; ma chi non è mai stato colto da vertigini non è a suo agio nella filosofia.
Con la critica di Zhok converge in parte Carmine di Martino, docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano. L’antisemitismo identificato con l’attitudine al calcolo e con lo sradicamento è infatti a suo avviso il frutto di un pregiudizio cui si sovrappone una grande semplificazione di filosofia della storia, che trascura la complessità della storia effettuale. La lettura dei Quaderni neri modifica dunque l’interpretazione della “storia dell’essere”, un filosofema heideggeriano del quale dovremmo liberarci. Sarebbe invece troppo tardi, osserva Di Martino, per liberarci di Heidegger medesimo, visto quanto profondamente la sua riflessione ha innervato le maggiori correnti di pensiero del secondo Novecento. Ammesso di volercene liberare, il che non è in realtà necessario. Restano infatti valide la sua fenomenologia dell’umano, la sua considerazione della scienza come un sapere legato a “decisioni iniziali”, che ne impedisce l’assolutizzazione, infine la sua attenzione alla tecnica, rispetto alla quale non c’è una semplice critica, tantomeno un atteggiamenoto di rifiuto o di condanna.
heidegger-cavazziniUna bella reimmersione nel pensiero di un autore che non smette di suscitare reazioni contrastanti, anche sorprendentemente accese , se si pensa che delle sue posizioni politiche e del rapporto tra esse e la sua filosofia si era ampiamente dibattuto già alla fine degli anni Ottanta. Come se il suo caso fosse sottilmente diverso da quello di tanti altri intellettuali tedeschi che salutarono favorevolmente il nazismo. Ecco uno dei motivi per usare il termine sintomo a proposito di Heidegger, evocando freudianamente, con una certa libertà, il ritorno del rimosso. Il sintomo riguarda, credo, il nodo evidentemente irrisolto dei legami tra filosofia e politica – che forse vorremmo tendessero insieme a un orizzonte democratico, senza riflettere abbastanza sul fatto che democrazia e filosofia non sono andate sempre a braccetto. Il sintomo ha a che fare d’altra parte con la rimozione di quanto accade ora e qui, nel presente, nella cosiddetta società globale, governata precisamente dalle logiche del pensiero calcolante. Ha a che fare, ancora, con la fretta di liquidare, insieme a tutta l’opera di Heidegger – operazione dalla quale gli ospiti della tavola rotonda hanno voluto al contrario metterci in guardia – tante esperienze filosofiche del ventesimo secolo, dall’ermeneutica alla decostruzione, e precisamente perché hanno fatto proprio uno stile filosofico non “scientifico”.
Un’ultima fugace osservazione, da riprendere con più pazienza e sulla base di qualche elemento più consistente: non è forse la costruzione del segreto e dello svelamento – della verità come aletheia! – messa in opera dall’autore per gestire la propria eredità spirituale a lasciarci perplessi, persino al di là del contenuto di questi preziosi quaderni? Così preziosi da non volerli pubblicare in vita – ma solo per decidere del loro destino in un tempo lontano, nel futuro, dopo la propria morte? Se fosse così, vedremmo paradossalmente insinuarsi lo spettro del calcolo laddove dovrebbe essere lasciato spazio all’abbandono, all’avvenire.

Le foto della Tavola rotonda sono tratte da https://www.facebook.com/hashtag/mimesisfestival

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