di Enrico Petris
Quello che è successo martedì scorso 22 dicembre sulla pista di sci a Madonna di Campiglio durante una gara di coppa del mondo, non si era ancora mai visto. Pochi secondi dopo la partenza, in diretta televisiva, dietro l’atleta austriaco Marcel Hirscher si vede piovere al suolo da venti metri e sfracellarsi andando in tanti pezzi un drone, il DFC-COPTER XR1, di dieci chili per le riprese dall’alto. Sembrava fatto con i lego, lo stesso effetto di quando cade a terra un elicottero costruito con i famosi mattoncini.
Finora conoscevamo i droni come portatori di morte a distanza. Un addetto, da una base del Nevada, fa clic col mouse di un computer ed in Pakistan o in Afghanistan, o in Siria o nel Daesh, viene colpito un obiettivo. Il guasto meccanico di Madonna di Campiglio li declassa ad oggetti volanti pericolosi piuttosto che infallibili. La federazione internazionale dello sci ha infatti immediatamente vietato l’utilizzo dei droni per riprese televisive sulle piste agonistiche.
I droni civili sembravano essere utili e affidabili per sorvegliare le vigne o per analizzare le bocche dei vulcani attivi, o per recapitare i libri acquistati online. Nei confronti dei droni si deve infatti registrare una ambiguità di giudizio che condanna quelli militari, i famigerati Predator armati di missili Hellfire, e promuove quelli di uso pacifico o ludico. D’ora in poi non sarà più così.
La letteratura critica sui droni è ancora piuttosto scarsa. Non conosco altri volumi oltre a quello di Grégoire Chamayou, Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere del 2013 (la traduzione italiana di Marcello Tarì per Derive/Approdi è del 2014) che ha aperto la riflessione sui nuovi strumenti di morte e sulla trasformazione della guerra da combattimento ad inseguimento, cioè in caccia all’uomo. Il ricercatore francese illustrava in quel volume il cambiamento decisivo del concetto di guerra e di nemico avvenuto con l’introduzione dei droni militari. Con i droni ha subìto una accelerazione anche la polemologia, al punto che sembra non bastare più la teoria dell’amico-nemico di Carl Schmitt. Da quando ci sono i droni per uso bellico? Se sorvoliamo sulle apparizioni precoci di aerei senza pilota presenti già alla fine della seconda guerra mondiale, c’è una certa concordanza nel ritenere il febbraio 2001 la data del loro esordio. Otto mesi prima delle torri di New York, l’aviazione americana sperimentò nella base di Nellis nel sud del Nevada il primo drone Predator. Nonostante si dica che la guerra è cambiata con l’attacco alle torri gemelle, ci sono buone ragioni per credere che quella sia ancora tutto sommato una vicenda di guerra aerea convenzionale. Le due torri sono cadute per un attacco terroristico proditorio con aerei civili con piloti a bordo, non con droni. Era guerra non caccia, stando alla proposta di Chamayou. La guerra ultramoderna è invece caccia all’uomo, caccia di un nemico che non vede chi lo colpisce. Colpire a distanza senza essere visti e senza esporsi ai colpi del nemico è l’essenza della neoguerra.
Il drone caduto a Madonna di Campiglio era di proprietà della Infront Sports and Media. Una società svizzera, sede a Zug, piuttosto attiva nel business dello sport, molto nota e discussa anche in Italia. Fondata nel 2002, nel novembre scorso è passata ad una società cinese la Dalian Wanda per un miliardo di euro. Sul sito della società, il cui logo costituito dalla scritta infront contiene nella lettera ‘o’ un occhio che ci guarda come fosse dall’altra parte di un mirino, si trova la seguente spiegazione dell’incidente, anche in traduzione italiana:
“Il report tecnico iniziale denota un malfunzionamento del drone. Sulla base delle dichiarazioni della società che gestisce il drone, la ragione più probabile del malfunzionamento è da ricondursi a una forte e imprevedibile interferenza sulla frequenza operativa, che ha portato a una limitata operatività del drone. Avendo rilevato questa problematica, il pilota ha seguito le procedure ufficiali per il malfunzionamento, conducendo di proposito il drone il più vicino possibile al suolo prima di lasciarlo andare. L’obiettivo era distruggere il drone, al fine di evitare che perdesse il controllo”. (http://www.infrontsports.com/news/2015/12/updated-statement-–-regarding-fis-alpine-ski-world-cup,-slalom-race,-on-22-december-2015/)
Il che induce a credere che non si sia trattato di un incidente bensì di un sabotaggio, una “forte e imprevedibile interferenza sulla frequenza operativa” ha indotto il pilota remoto a far precipitare il drone per motivi di sicurezza. Pertanto non un incidente ma una precipitazione al suolo deliberata (“di proposito”) e controllata, benché in condizioni di emergenza. La dichiarazione ufficiale dell’azienda responsabile delle riprese, la Infront, non parla pertanto di incidente ma di autodistruzione per motivi di sicurezza di un velivolo senza pilota (unmanned, alla lettera, forse, disumano?) in avaria con “limitata operatività”. Da una parte sembra quindi che lo sciatore non abbia rischiato nulla perché si è trattato di una autodistruzione pilotata, dall’altra se le cose stanno veramente così perché non farlo precipitare fuori pista? Rimane pertanto qualche dubbio sulla raffinata spiegazione ufficiale degli spin doctor di Infront. Mi chiedo se non era meglio dire che si è trattato di un pacco dono sbalzato fuori da una brusca virata del carro di babbo natale.