Psicanalisi critica e amicizia del pensiero sans alibi

La collaborazione con l’Associazione Psicanalisi Critica di Firenze, presieduta da Alberto Zino, è nata nell’autunno del 2014 in occasione di una giornata di studi dedicata a Jacques Derrida a dieci anni dalla sua scomparsa, intitolata significativamente “Dieci anni con Derrida”. In questa occasione si è parlato anche del libro Stati d’animo della psicanalisi, (a cura di C. Furlanetto, ETS, Pisa 2013). Il frutto di quei densi incontri è ora disponibile per il lettore nel libro

Claudia-Derrida-Blanchot-Kafkafresco di stampa, edito anch’esso dalla casa editrice di Pisa nell’importante collana “Libertà di psicanalisi” diretta da Alessandra Guerra, Derrida, Blanchot, Kafka tra psicanalisi e filosofia, a cura di A. Zino, M. Bellumori e A. Sartini.
Nella primavera del 2015, Alberto Zino è stato ospite della sezione friuliana della Società Filosofica nella manifestazione Vicino/Lontano, offrendoci la sua approfondita lettura del volume Le voci del corpo, rilanciando riflessioni, suggestioni, spunti, che Zino ha fatto scorrere pacatamente, portandoci nel mezzo di uno stile di lavoro amico e gentile, quello dei seminari fiorentini, cui appassionatamente partecipano da molti anni psicanalisti, filosofi, musicisti, artisti e scrittori.
Nell’ambito del ciclo di seminari di quest’anno dal titolo “Per la clinica della psicanalisi 2. Pratica dell’incredibile Cura”, la sottoscritta porterà il suo contributo intervenendo sul rapporto tra psicanalisi e diritto. In particolare si parlerà dell’esercizio giuridico della psicanalisi come esercizio di imputabilità. Questo tema – non estraneo alla riflessione psicanalitica, grazie al lavoro svolto da Giacomo B. Contri e neanche a quello filosofico, si pensi all’attenzione posta al tema da Paul Ricoeur (cfr prossimo Quaderno di Edizione, Dall’attestazione al riconoscimento. In ricordo di Paul Ricoeur, a cura di Francesca Scaramuzza) – viene riproposto anche per correggere una certa vulgata che vuole il rapporto tra psicanalisi e diritto implicato soprattutto nella ricerca delle cause remote dell’agire umano, in particolar modo quando esso devia dalla normalità. L’inconscio come alibi? Tutt’altro viene da rispondere con Franck Chaumon, con Giacomo Contri e prima di loro Sigmund Freud e Jacques Lacan. Ripercorrendo le vie intraprese da Hans Kelsen, famoso giurista austriaco e stimato interlocutore di Freud, in merito alla questione dell’imputabilità, risalendo a Kant per ritornare a Freud, si tratterà di osservare come il cuore del lavoro psicanalitico sia un lavoro di tipo imputativo, con cui decostruire i molteplici modi con cui siamo tentati dalla pulsione di potere. Parafrasando Derrida, potremmo dire che l’imputabilità è un altro nome del sans alibi.
Un ambito interessante e nuovo in cui osservare i benefici dell’imputabilità è quello dei minori ascoltati nei tribunali. La Convenzione di Strasburgo del 1995 ha introdotto un pensiero, estraneo alla psicologia dell’età evolutiva, ma invece presente nei più attenti psicanalisti, penso a Dolto, Mannoni ecc., ovvero l’idea che il bambino non è una naturalità in crescita da educare, da tutelare, con un pensiero in fieri, ma un individuo capace a pieno titolo di giudizio e discernimento, che semmai si tratta di saper ascoltare. Uscire dall’immagine paternalistica di un’infanzia da proteggere per accedere al pensiero di un’infanzia sovrana perché pensante e desiderante è il frutto più maturo di una lunga riflessione sulla questione dell’imputazione, come riconoscimento dell’esistenza in tutti di una capacità di giudizio, anche quando si sbaglia. Il riconoscimento di questa capacità lascerà al minore l’iniziativa della correzione con tuttalpiù un aiuto da parte dell’adulto che porti il bambino all’abilitazione della sua capacità, casomai fosse tentato per pigrizia o paura di non servirsene.
La questione nasce in ambito giuridico – ascoltare un bambino capace di giudizio, cioè di saper valutare i propri interessi e diritti nelle cause in tribunale – ma riguarda ovviamente anche altri ambiti, quello scolastico e quello familiare, ad esempio, dove la capacità di discernimento del minore è il fulcro dell’attività educativa concepita come un lavoro di partnership e non di controllo o dominio. Minori non vuol dire minorati, per richiamare un passaggio kantiano molto discusso; minorati lo si è, adulti e bambini che si sia, quando per pigrizia e/o viltà si abdica all’esercizio della capacità di discernimento che è esercizio di imputazione a sé e agli altri innanzitutto dei meriti, propri e altrui, nonché di eventuali errori. Su questi temi si terrà a Milano una giornata di studi a cura di Giulia Contri Piscopo, con la partecipazione di avvocati e giuristi, organizzata dalla Società Amici del Pensiero, società psicanalitica presieduta da Giacomo Contri (“Il diritto alla prova del discernimento individuale. Il minore e l’istituzione nel giudiziario civile minorile” – sabato 6 febbraio 2016, 9.00-18.00, Palazzo Marino, Milano).

Claudia Furlanetto