Colloqui sull’individuo 4. 17 aprile 2016
CONDIVIDERE IL CONFINE
Résumé dell’intervento di Bruno Moroncini
Nel suo libro La Comunità e l’invenzione (Cronopio, Napoli 2001) Bruno Moroncini aveva ampiamente trattato del senso politico assunto, in Nancy, dallo spostamento dal lessico dell’individuo a quello della singolarità. La sua riflessione, nell’intervento del 17 aprile, è dunque ripartita dai nodi politici che il lavoro di Nancy, e specificamente Essere singolare plurale, sollevano senza riuscire a risolverli in modo del tutto convincente.
Moroncini ha esordito commentando la felice scelta del titolo del colloquio e la sua sorprendente, terribile attualità: Condividere il confine. In tempi di muri in Europa, che puntano a rendere i confini nuovamente invalicabili, è proprio la peculiare condivisibilità del confine – il suo essere il limite tra un dentro e un fuori, specularmente assegnati ai confinanti – a venire negata. Ma non a caso, mentre si rialzano i muri, risuscita il mito della comunità: protettiva nei confronti dei suoi membri, in cui si incarnerebbe l’essenza comunitaria, essa diviene difensiva e aggressiva verso lo straniero, o meglio l’estraneo, da cui arriva la minaccia contaminatrice. Siamo come sbalzati all’indietro, nel cuore del XX secolo, quando la vertigine comunitaria travolse la civiltà europea consegnandola ai fascismi. Bisogna tener presente, tuttavia, che il contesto in cui La Comunità inoperosa veniva concepito e pubblicato non era lo stesso del primo dopoguerra, né del nostro presente, e che la questione era soprattutto il destino dell’idea comunista, compromessa, seppure in modo diverso, con l’ideologia della comunità come era successo con i totalitarismi di destra. In questi ultimi la comunità era stata fondata sulla razza, nel comunismo sull’utopia di una società senza classi. Ѐ sempre un certo essenzialismo, è sempre la convinzione di un gruppo più o meno ampio di esseri umani di essere accomunati da una caratteristica speciale, a reggere infatti la pretesa di realizzare una comunità perfettamente sana, felice, giusta. Detto ciò, se Nancy da un lato comprende che l’esito totalitario dell’esperimento sovietico deriva dalla vocazione comunitaria, egli a quell’epoca si chiede, come altri, se sia possibile riattivare la radice del comunismo, evitando la fascinazione della comunità. Questo ha cercato di pensare Nancy, approdando però a un’idea che, per non essere essenzialista, risulta essere forse troppo minimalista, in quanto dell’essere in comune resta solo il “con”, l’originaria pluralità dei singolari per il resto del tutto separati. Niente razza, niente destino comune, niente fusione in corpi mistici o politici. Ma non è troppo poco? Sul piano politico, come dare concretezza a questa figura filosofica?
Sul versante della fenomenologia del corpo, il tema politico del confine si traspone nel motivo della pelle, confine del corpo. E il tatto è il senso della pelle. Quanto si può toccare questo confine, quanto ci si può avvicinare senza che il contatto venga avvertito come un’intrusione? Anche in questo caso, il rischio sembra essere quello di fermarsi a un elogio del contatto discreto, capace di rinunciare a un incontro più intimo con l’altro. Tuttavia, sostiene Moroncini, in molti scritti di Nancy è possibile leggere anche un diverso sviluppo, che porta a pensare la relazione intersoggettiva piuttosto come shock, colpo, violazione del confine. Come un evento che apre, ma insieme sconvolge e può anche distruggere la singolarità. Un’intrusione. Come dimenticare che Nancy subì nel 1990 un trapianto di cuore, destinato a portarsi dietro una serie di gravi conseguenze, tra le quali un tumore determinato dall’abbassamento delle difese immunitarie, a sua volta provocato dai farmaci antirigetto? E come dimenticare che L’intruso, in cui, dopo nove anni, il filosofo si soffermava per la prima volta su questa vicenda, fu scritto in risposta alla richiesta di una rivista francese di intervenire sul tema della “venuta dello straniero”? Singolare collegamento, che allora forse era solo suggestivo, ma che poi sarebbe diventato ben più pertinente. Perché, in effetti, se abbandoniamo l’ipocrisia, è proprio di un’intrusione che oggi facciamo esperienza in rapporto ai migranti.
Dunque, tanto in relazione al tema della comunità quanto a quello del corpo, è come se ci fossero, dice Moroncini, “due” Nancy: il primo liberale (non però neo-liberale), attento a un pensiero del confine e del tatto, che in parte recupera il nucleo più valido dell’individualismo classico. Il secondo è il Nancy dell’intrusione, interessato a esplorare la possibilità dell’invasione del corpo, il corpo della comunità come quello del singolo, la cui figura potente e inquietante è quella del trapianto. Ma anche l’amore si manifesta così, in modo poco “educato” e controllabile.
Ѐ una divisione, questa, che consente di capire anche altri punti controversi. Prendiamo l’enigmatica frase del terzo brano, in cui si parla di un valore assoluto, che il capitalismo “scambia con se stesso”. Per Moroncini è un richiamo alla teoria del valore marxiana, epurata da ogni sentimentalismo: per Nancy, il comunismo sarebbe concepibile solo nei termini di un godimento comune, non privatistico, della ricchezza eccedente prodotta dal lavoro umano, senza che questo comporti l’imposizione di un’astratta eguaglianza e senza bisogno di auspicare un al di là dell’economia.
Eppure, l’interesse rivolto al Cristianesimo e alle sue virtù – la fede, la speranza, la carità – tornano in effetti a sfidare il realismo di questa prima prospettiva, e tornano a immettere nel pensiero di Nancy forze eterogenee che lo tendono all’estremo. Queste tensioni ne fanno la ricchezza, e insieme la problematicità.