di Enrico Petris
C’è un passo di Petrolio in cui Pasolini si chiede se negli anni Sessanta (del Novecento) c’erano già le spie e i provocatori in Italia. La risposta che si dà subito dopo è sicuramente sì, c’erano già i provocatori e le spie in quegli anni, quelli in cui ambientò una parte del suo romanzo postumo. Quella di Pasolini era una domanda chiaramente retorica, gli serviva per mettere il lettore sull’avviso dell’ambiente che stava descrivendo: quello delle spie, dei servizi segreti e del neofascismo che stava rialzando la testa ben prima della contestazione studentesca e di piazza Fontana. Ordine nuovo e Avanguardia nazionale c’erano già, e nel maggio del 1965 il convegno del Pollio si occuperà di fare il punto della situazione e di rilanciare la posta. Quel neofascismo degli anni Cinquanta e Sessanta aveva un legame culturale con quello di Salò in Julius Evola, agente della sezione più segreta e specializzata del Sicherheitdienst durante la guerra.
Se con la stessa finta ingenuità di Pasolini oggi ci chiedessimo non se sono esistite le spie in qualche tempo, ci sono da sempre, ma se esse si possono ritrovare in tutte le categorie sociali, e non solo in quelle che più hanno frequentato i servizi come militari, giornalisti e intellettuali, ma anche in quelle più impensate e meno probabili, per esempio fra i membri del clero, quale dovrebbe essere la nostra risposta? La stessa di Pasolini. A ricordarcelo viene ora il prezioso nuovo saggio di Dino Barattin, Il segreto di Don Pancino. Mussolini, Edda e i diari di Ciano, Libraria, San Daniele del Friuli 2016, pp. 153. Lo studioso già noto per i suoi lavori sul Risorgimento mazziniano di Navarons e sul complotto di Tito Zaniboni per uccidere Mussolini, dopo un breve interesse per la Resistenza nelle tipografie del maniaghese, ritorna ai temi del suo volume sul complotto di Buja, e cioè torna all’epoca del fascismo e della guerra per mettere in luce la figura e le operazioni di un agente, forse doppio o addirittura triplo, che di lavoro di copertura faceva il parroco di Erto, don Giusto Pancino.
È opinione del più noto studioso dei servizi segreti in Italia, Aldo Giannuli, che il Vaticano possieda il più ramificato, numeroso e capillare servizio di raccolta di informazioni presente sul pianeta, e per convincerci di ciò cita le quindicimila nunziature apostoliche sparse in tutto il mondo. È al nunzio apostolico di Berna che si rivolge l’agente Pancino quando deve contattare la figlia del duce. Una giovanile conoscenza con Edda Ciano, rivista durante la seconda guerra mondiale in un ospedale da campo greco-albanese, gli valse una chiamata da Mussolini perché intercedesse presso la figlia riparata in Svizzera dopo la condanna a morte del marito Galeazzo Ciano e la convincesse che suo padre non ne portava la responsabilità.
William Somerset Maugham, che di lavoro di copertura faceva lo scrittore, e anche di grande successo, ricorda nei suoi racconti, nei panni di Ashenden, come la Svizzera sia sempre stata, per la sua posizione di neutralità, un centro di rifugiati e di attività spionistiche.
Edda, riparata prima nel luganese e poi più prudentemente nel cantone fondatore di Schwytz, era furibonda col padre che riteneva, non senza valide ragioni, responsabile della morte del marito. Una tragedia familiare dentro la disfatta politica del fascismo. Per questo motivo Mussolini ricorse ai buoni uffici di don Pancino. Il quale, mentre svolgeva diligentemente il suo compito di riconciliazione familiare all’interno della catastrofe politica di cui si avvertiva l’imminenza, si trovò coinvolto anche in altre vicende di carattere politico e spionistico come la ricerca e conservazione dei famosi e temuti diari del ministro fascista che aveva sposato la figlia del duce. A queste due incombenze si aggiunse poi anche quella di riuscire a recuperare alla originaria fede cattolica romana Mussolini, il quale sembrava voler rientrare nella chiesa ogni volta che le vicende negative della guerra prostravano il suo umore ed il suo equilibrio psicologico. Questa terza operazione è stata fallimentare, per ammissione dello stesso protagonista, ma le altre due? Lasciamo il gusto di scoprirlo al lettore. Mi preme segnalare però un altro elemento. Don Pancino è anche uomo della Resistenza nel pordenonese. È lui che, grazie alla sua abilità diplomatica, salva Erto dalla furia distruttiva dei nazisti in ritirata ed è lui che organizza riunioni con i gruppi partigiani. Anche questo non deve stupire. La resistenza è stata una vicenda con molti intrecci e con molti personaggi che hanno giocato su più piani e su più tavoli, spesso con l’avvallo della chiesa. Il ruolo dei partigiani bianchi, lo erano anche Mattei e Cefis, un po’ ovunque, ma in Friuli in modo particolare, è un argomento che continua a suscitare interesse. Questo libro contribuisce a metterne in luce un nuovo risvolto, fa il punto sulla singolare vicenda di don Pancino, lascia il lettore con la curiosità insoddisfatta per la sorte delle sue cassette di documenti che giacerebbero nascoste negli anfratti delle prealpi pordenonesi.