[…] Come non cedere sui desideri quando il confronto con la realtà sembra perdente? Come far sì che l’intensità del desiderio non renda tutto finito o incredibile? In passato ad una persona messa in difficoltà dalle sue pretese avrebbero detto: commisura i desideri ai mezzi di cui disponi e non buttarti giù. Oggi questo modo di vedere, in sé molto sensato, non aiuta, c’è troppa sproporzione; negare la propria inconsistenza (“tenersi su”) è impossibile tanto quanto ignorare che, senza grandi desideri, che vita sarebbe? […]»
Che vita sarebbe senza desideri? Così scrive Luisa Muraro nel suo libro Al mercato della felicità pubblicato nel 2009, dove immagina un mercato della felicità, un mercato elementare che viene prima del mercato del profitto e che è molto più grande, è il mercato che facciamo a partire da dove siamo e dalla nostra esperienza, nel quotidiano. In esso cerchiamo di “comprare” la nostra felicità, che non è altro che una serie di desideri che non sono alla portata dei nostri mezzi, ma questo non vuol dire che non dobbiamo provarci.
Luisa Muraro è una filosofa italiana nata in provincia di Vicenza nel 1940. Docente di filosofia teoretica all’Università di Verona, attiva protagonista negli studi sul pensiero femminista, è stata tra le fondatrici di Diotima, la comunità filosofica femminile nata nel 1983. Il 20 maggio è stata ospite presso l’Auditorium Zanon per il progetto FILOSOFIA IN CITTÀ in un incontro rivolto agli studenti delle scuole e introdotto dalla professoressa Beatrice Bonato, ideatrice del progetto. Il tema di quest’anno è stato “Cosa significa pensare?” e Luisa Muraro ha risposto a questa domanda inserendolo nel rapporto tra filosofia e femminismo, soffermandosi su cosa significa e ha significato “essere femministe”.
La Muraro è una delle più importanti esponenti della filosofia della differenza; il suo percorso di pensiero è frutto di pratiche di vita ed esperienze di comunità, ma anche di un percorso interiore di autocoscienza. La filosofia della differenza sessuale è una corrente di pensiero nata negli anni Settanta del secolo scorso; si può dire che essa sia la seconda fase di quella corrente del femminismo nata alla fine del 1800 in Inghilterra con le suffragette e portata avanti da numerose donne che chiedevano parità nei diritti con gli uomini: tra maschi e femmine doveva vigere l’uguaglianza e nessuna differenza. La seconda fase invece è contraddistinta dalla presa di coscienza delle donne stesse che maschio e femmina sono due generi completamente diversi ed asimmetrici; tra di essi non ci può essere una parità, ma una differenza. Differenza che non significa che uno è inferiore all’altro, che uno è perfetto e l’altro imperfetto, che uno è migliore e l’altro peggiore ma che, nel loro essere uguali in quanto appartenenti alla stessa specie, sono diversi: nel loro modo di essere, nei loro comportamenti, nelle loro esigenze. Non si può calare un velo su una differenza così importante. La filosofia della differenza sessuale vuole sostenere questo, che uomo e donna non possono essere trattati in modo uguale poiché differenti: dall’originale concezione basata sull’esistenza di un solo sesso, perfetto maschio, imperfetto femmina, si approda alla visione di un sesso che si è modellato in due generi fino ad arrivare all’ammissione che esistono due sessi, uomo e donna. La seconda fase porta a una radicalizzazione del femminismo e alla sua volontà di separare i due sessi, che comporta anche una svalutazione del sesso maschile, la cui importanza nella storia e nella cultura è vista come una compensazione della sua “inutilità”, essendo il maschio incapace di partorire nuovi esseri umani. Svalutazione che ha portato le femministe della filosofia della differenza a rifiutare di avere qualsiasi dialogo con gli uomini. Ad un certo punto però le femministe si sono rese conto che questa situazione non poteva portare risultati positivi all’interno della società. Escludere completamente un sesso portava ad escludere una gran parte dell’umanità e a logorare molti rapporti; da questa consapevolezza è sorta quella che viene considerata una terza fase, dove il femminismo viene considerato incompleto se non è presente un’interazione con gli uomini. È necessario che si instauri un legame, un rapporto tra uomo e donna che, consapevoli entrambi delle loro differenze interagiscano, facendo posto l’uno all’altro e lasciando che ognuno liberamente si esprima. Questa interazione non è semplice ed è possibile solo se l’uomo è aperto alla comunicazione e consapevole della differenza che intercorre tra lui e la donna.
“La vecchiaia mi ha scoraggiato”, uno scoraggiamento profondo, che lei sente dentro unito alla convinzione che “le generazioni future non avranno il benessere delle generazioni passate”. La professoressa parla della sua generazione che è stata spinta e proiettata verso il progresso, su tutti i fronti; la nostra generazione è il risultato di quel cambiamento per cui le persone della sua età hanno faticato e lottato, con delusioni e vittorie ma non facendo mai mancare la speranza, perché “quando l’umanità si mette in testa qualcosa la realtà è sensibile alla forza dei desideri”. Le nuove generazioni non godranno dell’aumento di benessere come le generazioni precedenti. Nonostante questo non dovranno conquistare da zero, almeno nel mondo occidentale, come sottolinea la Muraro, la parità tra i sessi, attraverso un processo di emancipazione che ha portato le donne alla pari dell’uomo se non al di sopra; è per questa rivoluzione che probabilmente la nostra epoca verrà ricordata.
Prima di lasciare la parola agli studenti e alle loro domande la filosofa ha voluto rispondere alla domanda “cosa vuol dire pensare?”, filo conduttore degli incontri di filosofia di questo anno. Per lei pensare significa mediare tra la propria esperienza, bella o brutta, e il mondo. L’esperienza è la cosa più originale che ognuno può avere, ciò che lo rende diverso dagli altri, il mondo infatti è creato dagli altri. Da questo deriva il pensiero, non imitazione pura degli altri ma qualcosa di originale in noi, che mette in risalto la nostra unicità. Detto in breve:
«il progresso che si pratica in questa civiltà lavora a discapito e in concorrenza con tutti i pensieri e tutte le pratiche che ci aiuterebbero ad accettare il molto che nonostante tutto continuiamo ad essere e a vivere senza averlo scelto […]» (Al mercato della felicità)
Nel colloquio con gli studenti è emerso il problema della lingua, che sta a cuore a tutte le femministe. La lingua è sempre soggetta ad un continuo cambiamento nel corso del tempo e per questo è necessario che si apportino delle modifiche, in particolare dopo le conquiste delle femministe che hanno rivendicato l’importanza del sesso femminile. Noi siamo liberi di esprimerci e dire quello che ci è più gradito e per questo la lingua, autorità intrinseca, ci deve supportare, sennò finiamo per dire qualcosa di falso. La lingua deve rispecchiare in qualsiasi modo ciò che vogliamo esprimere e questo ci fa porre in contrasto con l’abuso che si è fatto da sempre del maschile come genere grammaticale che abbracciava tutto, conseguenza della visione di unicità dei sessi e della predilezione del maschio. Non è facile però cambiare una lingua o un modo di parlare a cui ormai siamo abituati. Il problema esiste, dice la Muraro, quindi non possiamo tenercelo ed ignorarlo, dobbiamo affrontarlo perché solo la realtà storica personale può far emergere la volontà di un reale cambiamento.
Ma allora l’uso pubblicitario e lo sfruttamento strumentale del tema del femminismo, magari dipinto in modo anche eccessivo, è corretto? Non è sicuramente del tutto sbagliato, è segno della nascita di una sensibilità per l’argomento che non c’è sempre stata.
Luisa Muraro è nata e cresciuta quando “è scoppiata la bomba” che ha portato poi all’emancipazione femminile e in quel momento, come ricorda lei, i media chiedevano ed intervistavano personaggi famosi chiedendo cosa pensassero riguardo al femminismo. Quasi nessuna donna famosa si dichiarava femminista; anzi, la maggioranza prendeva le distanze dalla neonata concezione.
Il femminismo e la sua lotta non si sono fermati, perché le disuguaglianze e le ingiustizie sono tante ancora da abbattere, in Occidente come in Oriente, e le generazioni future hanno questo in mano, hanno il potere del cambiamento e di poter proseguire quello che si è iniziato, avendo come punti di riferimento gli obbiettivi raggiunti, perché la differenza sessuale è un problema ancora aperto, che deve affermare l’uguaglianza nel modo giusto, perché, come dice Angela Putino, citata da Luisa Muraro nel suo libro Al mercato della felicità
«[…] ciò che pensa una donna è pensiero e non interesse di parte. Il che significa anche che ciò che lei pensa è pensiero per tutti. […]».