Report di ARIANNA ELISA OIAN su Filosofia in città 2020. Del camminare in poesia

Saba-a-passeggio-dal-libro-Umberto-Saba.-Trieste-ed.-MGS-Press-autore-Renzo-S.-Crivelli-663x1024Report di ARIANNA ELISA OIAN
Studentessa del Liceo “G. Marinelli” di Udine
sul primo incontro di FILOSOFIA IN CITTÀ 2020. Del camminare in poesia

Il primo incontro di filosofia in città 2020, tenutosi lo scorso 12 gennaio al teatro Giovanni da Udine a cura di Beatrice Bonato, presidente della Società Filosofica Italiana Sezione Friuli Venezia Giulia, ha visto riproposto l’affascinante tema degli “Animali Parlanti”, un percorso che unisce e lega la filosofia, la poesia e le arti visive tramite il linguaggio. Si è discusso del “camminare in poesia”, titolo ispirato a un’espressione del filosofo italiano Giorgio Agamben, “passeggiar-se”[1], cercando nella poesia gli elementi per un dialogo con il pensiero filosofico. La possibilità di una tale esperienza presuppone una elevata conoscenza della lingua, in cui essa superi il suo fine comunicativo per scoprire qualcosa di insito nella natura umana, per scoprirvi un indissolubile legame, appunto, con la lingua stessa. La relatrice Sergia Adamo, professoressa di Teoria della letteratura e Letterature comparate all’Università di Trieste, è riuscita in modo brillante a esplicitare questo concetto attraverso un confronto tra le liriche e la poetica di Umberto Saba e quelle di Charles Baudelaire. All’inizio dell’incontro, le poesie sono state lette ed interpretate magistralmente da Stefano Rizzardi con il pregevole accompagnamento musicale di Adolfo Del Cont.

Saba vede nella poesia qualcosa da declamare, un suono che forza sull’enfasi del linguaggio e richiama un linguaggio epico che riprende la tradizione classica. Il suo stile è caratterizzato dalla presenza degli ossimori, dalla contrapposizione tra parole di significato opposto. Ciò diviene, in modo particolare nel Canzoniere (1921), un atto di consapevolezza, da parte dell’autore, della qualità delle proprie liriche e una sorta di esperimento psicoanalitico. Saba stesso osserva come le poesie siano simili a bolle di sapone: alcune salgono altre no, alcune soddisfano l’autore, altre non presentano la stessa efficacia. Ed è proprio sul tema del “passeggiare sé stessi” e la propria mente che l’autore dimostra di aver appreso una grande lezione dalla letteratura francese del suo tempo e di averla rielaborata in modo personale ed affascinante.

Vari critici, tra cui spicca il tedesco Walter Benjamin, hanno messo in luce l’influenza di Charles Baudelaire nella poetica di Saba. Per la prima volta, nella poesia lirica, la vera protagonista diviene la città capitalistica e borghese, colma delle luci delle vetrine e della nuova illuminazione, in cui vive indistinta una massa di soggetti che trascorre la propria esistenza desiderando tutti quei beni che vengono pubblicizzati. La società appare oramai dominata dalle decisioni dei potenti finanzieri ed industriali, i quali cercano di accrescere esponenzialmente le proprie ricchezze, senza considerazione per l’etica e la morale. Qui si ritrovano anche le idee vicine al socialismo dell’autore, che, già nel 1905, pubblica vari articoli e poesie sulla rivista triestina di sinistra, “Il Lavoratore”. Questo tema rimane particolarmente caro alla poesia triestina che vede un tipico topos letterario nell’ascesa al colle di San Giusto. Da lì si domina con lo sguardo l’agglomerato di case, il porto e le rive di Trieste, la cui appartenenza storico-geografica e il legame culturale col Regno d’Italia risultano profondamente stimolanti per l’ispirazione dei letterati. La profondità dell’Infinito di Leopardi e i dibattiti filosofici contemporanei suscitano negli scrittori un acceso fervore e un crescente desidero di ricongiunzione con la tradizione italiana. La città sconvolge definitivamente questo mondo. Come Baudelaire che osserva il mondo dalla mansarda, il poeta può scegliere di vivere al di sopra, allontanandosi dai meri interessi materiali, e di rendersi indipendente da un modo che sta andando incontro alla degradazione. La poesia deve liberarsi della necessità del lucro, l’artista non resta un mero cortigiano al servizio dei potenti, ma si libra lontano dagli altri. Salire sull’erta del colle è una metafora di questo allontanamento: Saba si trova al di sopra della corruzione e dell’impurità del mondo quotidiano, di fronte a una scelta che determina profondamente la sua poetica. Può ignorare la fervente vita, o darle un senso e mettersi in gioco veramente, con la discesa da un mondo spirituale ed elevato alla sfera dei sensi, delle illusioni e dei vari pericoli della società.

La degradazione e la fragilità dell’Io sono gli elementi ricorrenti della letteratura del secolo scorso e qui Saba si unisce a un coro di voci che la denunciano. Insieme a lui figura Italo Svevo, un altro scrittore triestino di eccezionale livello, che si accosta al disagio psichico attraverso la psicoanalisi freudiana, andando a modellare un nuovo protagonista del panorama letterario italiano. L’inetto, come Alfonso Nitti nel romanzo Una vita e Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno, compie inebetito lunghe passeggiate nel corso della giornata, senza meta o scopo alcuno. Non si sente a suo agio tra gli altri e anche nella massa la sua solitudine risulta lampante, la distanza dalla società tende a spingerlo ai margini. In parte aderisce e si adegua, negli altri casi si discosta totalmente dalle persone che lo circondano. Allo stesso modo Saba, “camminando sé stesso” per le vie di Trieste, rimane inebriato dalla semplicità e dalle sensazioni della vita dei marinai e della gente comune, dal profumo della salsedine e dal sole che al tramonto si mischia col mare. Il suo Io poetico non riesce ad adattarsi completamente e prova sentimenti opposti, di distacco, ma di appartenenza allo stesso tempo. Nuovamente si trova l’influenza di Baudelaire con particolare riferimento alla poesia “Il Cigno” appartenente alla raccolta I fiori del male. Il poeta è un animale puro, dalle candide piume, che si trova impolverato e costretto a vivere in un nuovo mondo, dominato dalla ricerca del denaro e dalla modernità e che ha oramai perduto gli antichi valori morali. Parigi, come Trieste, soffoca la libertà individuale e crea una grigia monotonia tra i suoi abitanti, rendendoli uguali tra loro ed anonimi. Nella poesia l’aggregazione urbana diventa concreta, l’autore rimane profondamente legato alle date e ai luoghi attraverso i quali ricrea una realtà che esiste solo nella sua mente. Si annulla l’architettura cittadina, la quale attribuisce ad ogni luogo un determinato scopo o funzione. Non resta tuttavia un mero percorso, ma un viaggio attraverso il quale il poeta si conosce e comprende con più pienezza. Dopo questa presa di coscienza Saba rimane profondamente colpito e diviene neurastenico. Di ciò si trova testimonianza nella lettera scritta ad Amedeo Tedeschi datata 2 aprile 1903, in cui egli descrive gli effetti debilitanti della malattia. Il riposo e la tranquillità gli vengono sottratti dal sonno leggero e dall’impossibilità di meditare e concentrarsi. L’unica soluzione resta dunque la poesia ed il bisogno di ritorno al luogo sicuro, senza poterlo raggiungere. Ne “Il borgo”, appartenente alla raccolta Cuor Morituro (1925-1930), si trova ancora il ricordo di un passato migliore. Il poeta tenta di uscire da sé, di divenire come gli altri e di provare le medesime emozioni, ma ciò che gli rimane non è altresì che il doloroso ricordo. La morte si rivela la soluzione finale, poiché gli antichi valori sono oramai scomparsi.

Il tema della fine non è del resto nuovo nell’atmosfera filosofica del Novecento. Il potere degli aforismi nietzschiani proprio in questo periodo si rivela illuminante per Saba, che compone con particolare intensità ed ironia in Scorciatoie e Raccontini dove si trova il tema delle scorciatoie. Strade che sembrano accorciare le distanze, di cui è ricca Trieste. La città nuovamente riveste un ruolo di assoluta rilevanza nel Canzoniere: diviene scontrosa, tormentosa e pullulante di stimoli. Può essere mille e una città nello stesso istante, come recita appunto il titolo del saggio di Sergia Adamo Le mille e una città: la Trieste di Saba, l’“altra sponda”[2].

Arianna Elisa Oian

[1] Cfr. G. Agamben, L’uso dei corpi, Neri Pozza, Vicenza 2014, p. 54.

[2] In Umberto Saba: itinerari triestini/Triestine Itineraries, R.S. Crivelli, Trieste, MGS Press., pp.67-137.