SARTRE/MERLEAU PONTY

ARIANNA OIAN

aut aut 381Report sull’incontro del 12 febbraio 2020
Sartre/Merleau-Ponty. Un dissidio produttivo
Con Raoul Kirchmayr e Beatrice Bonato

Lo scorso 12 febbraio, alla Libreria Friuli di Udine, si è svolta la presentazione del fascicolo 381 di “aut aut“ Sartre/Merleau-Ponty. Un dissidio produttivo, che tratta delle divergenze tra questi due protagonisti della filosofia francese del Novecento. L’incontro è stato tenuto dal professor Raoul Kirchmayr, docente di Estetica presso il dipartimento di Architettura dell’Università di Trieste, curatore del fascicolo con Enrica Lisciani-Petrini e autore di uno dei saggi pubblicati nel volume, e da Beatrice Bonato, presidente della Società Filosofica Italiana – Sezione FVG e docente di filosofia al liceo Copernico di Udine.

La vivace discussione si è aperta con un’introduzione al periodo storico a cui Jean-Paul Sartre e Maurice Merlau-Ponty appartengono. Durante la loro attività, l’Europa e il mondo si trovano a fronteggiare la Guerra fredda. In un tale momento di incertezza, i vari paesi temono un nuovo scontro che potrebbe segnare un punto di non ritorno per l’intera umanità. La scienza sembra essere al servizio della politica, le innovazioni tecnologiche del periodo, come la bomba atomica sganciata su Hiroshima, i gas letali e le armi sempre più sofisticate sono a disposizione di tutte le maggiori potenze. Se ci fosse una minima scintilla, il mondo moderno potrebbe scomparire in una lotta suicida, volta all’autodistruzione degli uomini.

I paesi colonizzati nel secolo precedente, come l’Algeria assoggettata alla Francia, tentano di divincolarsi e sottrarsi alla morsa dei dominatori stranieri, approfittando della già complessa situazione del dopoguerra. Proprio allora si ripropone un’antica e nuova domanda. Quale è il ruolo dei filosofi, devono intervenire nelle decisioni politiche e nei dibattiti o rimanere indissolubilmente legati alle accademie? Nel 1952 Merleau-Ponty diventa titolare della cattedra di filosofia al Collège de France, istituito da Francesco I nel 1530 e noto per la sua tendenza conservatrice. In quegli stessi anni Claude Lévi-Strauss, vicino alla destra, ottiene una cattedra presso questa prestigiosa istituzione che accoglie i più stimati pensatori del tempo. Merleau-Ponty non si schiera mai apertamente contro le decisioni dello Stato, rispetta le istituzioni e il suo impegno politico risulta essere assai differente da Sartre. Quest’ultimo infatti non lavora per alcun organo statale, è quindi libero e può assumere posizioni radicali. In particolare si discosta perfino dal PCF, partito comunista francese, con la sua presa di posizione contraria rispetto alla questione del dominio sull’Algeria, considerato in Francia come un normale diritto.

Il pensiero di Sartre fa tesoro delle lezioni di Karl Marx, di cui viene proposta una revisione, una filosofia della prassi. Si concentra principalmente sul ruolo politico e sociale dell’intellettuale, che in questo momento storico rischia di divenire un mero tecnico del sapere. L’oggettivazione del singolo e la perdita della presa di coscienza, in particolar modo negli scienziati, hanno avuto innegabilmente un effetto devastante per tutta la storia del ventesimo secolo. L’anonimato della società di massa e la propaganda, volta ad incoraggiare la guerra e l’imperialismo, divengono le prime armi di autodistruzione della società. Nel clima postbellico, profondamente pessimista, il filosofo deve, secondo Sartre, spingere su quell’intercapedine che si ritaglia per criticare il suo tempo. Diventa necessario un nuovo Umanesimo, – tema di un altro celebre “dissidio” avvenuto tra Sartre e Heidegger a metà degli anni Quaranta –, che torni a focalizzare l’attenzione sul singolo, sull’individuo, sull’uomo. Questo nuovo Umanesimo è da farsi e deve fare i conti con una problematica realtà storica, che ha visto il fallimento delle teorie marxiste come il Marxismo-leninismo, e che deve focalizzarsi sulla possibilità di pensare.

All’inizio degli anni Cinquanta, Sartre si espone pubblicamente e medita quella lotta prima intellettuale e poi pratica, mentre Merleau-Ponty retrocede dalle sue opinioni politiche. Una tale presa di posizione di Sartre lo porta a scontrarsi con Roger Garaudy, segretario del PCF con un’ideologia stalinista ed ortodossa. Nel 1956 oramai per lui la situazione in Francia è oramai diventata complessa. Decide quindi di schierarsi ancora più apertamente e apparire frequentemente sulla scena pubblica.

Gli anni ’60, segnati dal dissenso e dalla critica, vedono crescere la popolarità del filosofo. Gli studenti nel 1968 si ribellano al fronte strutturalista, con rappresentanti Lévi-Strauss e Lacan, che è accusato di far sparire la storia, il soggetto. Accusano le strutture conservatrici, come il Collège de France, di replicare e supportare l’ideologia capitalista. Perciò l’unico rappresentante controcorrente scelto diventa propriamente Sartre, il quale pone l’accento sull’etica marxista, un’etica che deve ancora vedere la luce. Merleau-Ponty era morto nel 1961, e l’amico per ricordarlo gli aveva dedicato un’intensa biografia.

Questi due filosofi possono essere considerati al contempo amici e nemici, ma senza dubbio alcuno profondamente influenzati l’uno dall’altro. Le tre lettere ripubblicate nel fascicolo del “aut aut”, scritte a partire dal 1953, delineano uno scontro tra i loro due pensieri, in particolare in merito alle linee teoriche e politiche. Sartre si schiera a favore di una concreta partecipazione alla situazione innegabilmente difficile della Guerra Fredda, mentre Merleau-Ponty preferisce riflettere e lo accusa di non riuscire a collocare insieme libertà e intersoggettività, la condivisione di stati soggettivi da parte di più soggetti. Quest’ultimo definisce la libertà come un “innesto”, mentre l’amico le pone un limite, la libertà altrui.

Vengono indubbiamente influenzati dal pensiero e dalla fenomenologia husserliana e dall’esistenzialismo heideggeriano, come si può notare in L’Essere e Nulla di Sartre e in Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty. Qui viene applicato il metodo fenomenologico di Husserl e vengono elaborate alcune tesi di Essere e Tempo di Heidegger. In particolare, il cardine diventa il concetto di epoché ed il residuo fenomenologico, indissolubilmente legati all’esistenza dell’essere umano. L’uomo è passivo di fronte ad essi e non gli è possibile metterli “tra parentesi” per compiere una analisi scientifica del suo tempo. Una mancata “sospensione” del giudizio e la negligenza della morale e dell’etica in extremis hanno condotto, secondo Sartre, alla nascita dei campi di concentramento e perfino ad una loro accettazione. L’uomo deve comprendere l’abissalità della scelta; solo attraverso di essa l’uomo determina il proprio destino. Ciò lo porta o a combattere o a farsi dominare, se decide di non scegliere. Quindi il soggetto deve trascendere il proprio Ego e capire come debba diventare il protagonista di questa concreta ricerca fenomenologica. Qui, prima delle differenti visioni socio-politiche, nasce il dissidio. Mentre Sartre si allontana progressivamente dalle tesi di Heidegger, Merleau-Ponty rimane profondamente legato alla condizione dell’essere descritta nell’opera esistenzialista di Heidegger.

Dalle lettere non deriva un totale distacco tra i due, ma un ulteriore stimolo di riflessione. Nelle loro future opere è possibile notare l’influenza dell’uno sull’altro e in codesti lavori entrambi elaborano il proprio pensiero e trovano sempre un nuovo contatto, una possibilità di confronto. La filosofia comporta innegabilmente un’attività del pensiero, un lavoro compiuto dall’Io intellettuale, che interpreta, elabora e costruisce nuovi approcci agli stimoli provenienti dal mondo esterno e alle grandi domande dell’uomo.

Per questo risulta veramente cruciale, allora come adesso, avere studiosi, ricercatori, intellettuali che continuino a pensare e ad esercitare la più grande forza umana, quella del pensiero. Come già preannunciato da Sartre, non si può rischiare che gli intellettuali diventino dei meri tecnici della conoscenza. Al momento questa necessità non si è esaurita, anzi sembra più viva. La globalizzazione, l’irrefrenabile progresso tecnologico e la modernità creano incredibili possibilità, nemmeno immaginabili qualche decennio fa. Con una tale crescita esponenziale di risorse, il singolo deve ricordarsi anche delle responsabilità derivate da esse. La scienza e la tecnica sono degli strumenti, la differenza sta nel loro fine che dipende dal soggetto. Con la perdita di autenticità i saperi e le realtà culturali rischiano di rimanere oppresse dei grandi monopoli e delle sovrastrutture che tentano di creare una totale amministrazione del mondo, sempre più frazionata in settori e basata sulla spietata competitività. In questi anni si stanno ripercorrendo pericolosamente le vie dei totalitarismi, del sovranismo e della xenofobia che hanno causato sventure immani nello scorso secolo. Il riavvicinarsi a queste dottrine porta a rinsaldare con maggiore forza il rapporto oppressore e schiavo, dominatore e sottomesso, libero e non. Si sta procedendo inevitabilmente verso un progresso tecnologico incredibile, mentre sul piano politico-sociale si osservano dinamiche di retrocessione, inclini alla violenza ed al disprezzo. Se si smette di pensare criticamente, rischiamo di avvicinarci pericolosamente a dei conflitti di portata catastrofica. In una tale situazione, chi esercita il pensiero diventa un “funzionario dell’umanità”, in grado di risvegliare le coscienze e frenare questa marcia verso il regno della schiavitù e dell’autodistruzione.